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Dialogo di due lancette in una pendola

Dialogo di due lancette in una pendola

tic… tic…tic…

– Amica mia, il tuo nome inganna: batti i secondi, eppure fra noi sei la prima quanto a rapidità. A che ti giova correre?

– La tua pigrizia mi induce un dubbio simile e opposto.
Io credo che a troppo aspettarla la vita passi sprecata, che trovandoci in questo circuito chiuso d’istanti che si ripetono in fondo uguali accatastare pensieri e progetti sottragga il poco tempo di piacere concessoci. Restare all’amo di una felicità promessa significa perderne mille più immediate, non ancora guastate da aspettative inevitabilmente delusive… Preferisco dunque “correre”, pur sapendo che camminando sarebbe minore la fatica e maggiore lo spazio percorso: accetto una strada breve, piena di ammaccature e se necessario di vizi, che si tuffa davanti nel nulla ed è dietro incalzata dall’oblio, ma almeno senza tempi morti, senza il morso della speranza a trattenermi dal cogliere il fiore di ogni esperienza, senza il peso degli istanti sacrificati a fantasie irrealizzate.

– Eppure non t’accorgi che inizi a mancare i secondi, che cresce il cigolio dei tuoi passi? La tua corsa, o meglio la tua fuga s’infrange sui tuoi limiti: un giorno ti fermerai, per riprendere fiato o perché distratto da un attimo, da un luogo o da una persona, che per il suo dolore o la sua bellezza ti chiederà di restare, a cui implorerai di restare. E allora ti divincolerai con la cattiva abitudine che fa assomigliare la tua vita ai roditori nelle loro ruote, ti assaliranno i pensieri che non hai imparato ad affrontare quando era il momento.

– E allora quando? Quando la fine dell’attesa, quando la fine del dolore? O dobbiamo patire la vita elemosinando al futuro un conforto, salvo poi quando quel futuro diventa presente elemosinare a un futuro ancora più lontano? Dobbiamo pazientemente impantanarci? Si dice che la speranza sia un vento d’uragano nelle proprie vele, ma molto più spesso chi la predica vive in bonaccia.

– Ma lasciali perdere quelli che hanno imparato le parole e non i sentimenti, che recitano senza intelletto il rosario dei consigli e dei giudizi: la vita è piena anche gustata con la giusta lentezza, senza ingozzarsi d’esperienze che non sfamano bensì accrescono la nausea, sebbene comunque non bisogni soffocarla con troppi sofismi o idee che fanno la felicità dei filosofi ma non la nostra. Tu parli di cogliere i fiori dell’esistenza ma questi sono solo l’apparenza, per quanto meravigliosa, di una vita che scorre più profonda, che sopravvive agli inverni, paziente ma sempre pronta a emergere: non puoi accontentarti di vivere sulla superficie delle cose, occorrono radici.
– Ma a che giova costruire e coltivare qualcosa che ci può essere tolto per un capriccio della fortuna, o che può infine non essere conseguito nonostante l’impegno?

– Giova che si sono scelti i rischi giusti, che il proprio talento è stato restituito e ha dato frutto, che un nostro piccolo verso è rimasto nel poema del mondo, che ci si congeda dall’esistenza come convitati sazi e non come bulimici. E se credi non esista qualcosa che ti sorpassi, osserva la più corta fra noi: muta e discreta, quasi immobile e dimenticata, eppure incombente nel suo silenzio. La sua è una pazienza, un tempo che la nostra sensibilità ha difficoltà a concepire, che assomiglia alle gocce che scavano le caverne. Eppure di tanto in tanto scatta, un frastuono rimbomba, e un’altra ora è trascorsa senza che ce ne accorgessimo. E sembra la voce dell’eterno.

Autore EnricoPubblicato il 21 Aprile 201920 Aprile 2019Categorie Il Mulino delle LettereTag dialogo, lancette, lettere, mulino, Pasqua, pasqua2019, passare, pendola, Quaresima, quaresima2019, riflessionemulinoquaresima, tempo, tic 3 min Lascia un commento su Dialogo di due lancette in una pendola

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