Disegni di Daniele Zucca
Montaggio, musiche, progettazione, testi di Enrico Frosio
Voce di Damiano Mariotti
Ex voto
Verrà voglia di dimenticare,
quando i nostri passi batteranno
liberi
le strade del mondo,
e nella nostra quotidianità
avremo riaccolto, a piccoli sorsi,
le care
abitudini di un tempo.
Assorti nella piacevole normalità
delle cose, tutto questo sarà
soltanto
una brutta storia lontana;
Soltanto il brivido di un ricordo
che, d’improvviso, attraversa giornate
così uguali,
e subito tace.
Si farà quel tanto di retorica
che assolve dal cambiare davvero
le cose,
e soprattutto noi stessi;
Sarà vita che lava via altra vita,
e si finirà forse per non imparare
neppure
a essere meno peggio.
Questo il torto peggiore. Fare
di questa sofferenza tremenda,
purtroppo,
una sofferenza inutile.
Magnificat
Padre nostro, scendi dai cieli
a vestire di conforto questi labili steli
d’umanità che tremano disorientati
nel mezzo di prati senza primavera –
Quando,
esausti e fragili,
nel silenzio della notte annega
la stanca speranza di giorni migliori
Quando
s’aprono voragini
nell’anima a inghiottire senza tregua
i volti e le abitudini, i doveri e gli amori
Quando
la terra canta
di sirene e campane a morto
e con lei cantano i nostri cuori
E tu, vergine piena di grazia e strazio
per i figli che piangi e chiami nello spazio
dei tuoi grembi stellati, illuminando
d’una preghiera anche i soli e i dimenticati –
Benedici
queste mani
forti non perché onnipotenti
ma perché non rassegnate all’impotenza
Benedici
i miracoli umani
dove il benigno sforzo degli intenti
vince delle circostanze l’inclemenza
Benedici
quelle gocce
di bene la cui somma
finisce per fare la differenza
Libertà
Anche nel più stretto
atomo di mondo,
c’è uno spazio d’infinito
che è l’anima –
Qui siedo talvolta
in lunghe conversazioni
d’amore
con quei fantasmi di vita
le cui mani accarezzano
i muri del mio silenzio.
Così si corrispondono
gli spiriti cari,
come la luce attraverso
il vuoto –
Come fili che mi comunicano
all’altrui solitudine
tesso i miei sogni
e quelle fantasie illuminate
di volontà e speranza
che sono i progetti.
Pur sepolto in cose
d’angoscia e spavento,
intorno a me non vedo
che l’orizzonte.
Resilienza
Chiusa nell’angusto silenzio
di questa strana primavera
che s’apre sulle ferite di un’umanità
improvvisamente fragile,
In questo lungo macerare d’anima
che quasi la speranza sembra
la peggiore bugia,
Scopro la solitudine
di non bastare a me stessa.
Ma non mi spezzo.
L’attesa non è mai inutile
quando prepara all’incontro
e i nostri cuori si incontrano
prima che le nostre mani,
Perché la presenza è fatta
anche di pensieri e gesti
che maturano nel silenzio,
E la quotidianità non è fatta
solo di abitudini inveterate.
C’è di più, c’è la vita.
E se le cose sembrano andare
sempre per il verso sbagliato,
assicurati che le stia guardando
dalla parte giusta.
Misericordia
Occorre prendersi cura di certi silenzi, perché appartengono a quegli spiriti fragili che sanno piangere senza far rumore, e amare senza volerlo mai dire. Quando ne intuisci qualcosa dell’animo, ecco, subito si affrettano a diradare tutto in una risoluta quanto scontrosa finzione d’indifferenza, o a schermire la parte più vera e dolorosa in un festoso intrico di chiacchiere, inutili chiacchiere di circostanza, come si accomoda la polvere sotto i tappeti per ben impressionare gli ospiti.
Occorre muoversi in sordina, perché un affetto sussurrato troppo forte li farebbe scappare, e una gentilezza troppo calcata li spezzerebbe in malinconici cocci d’umanità. Non basta il bene, occorre saperlo pesare.
La bellezza della vita è crudele quando rinfacciata a chi se ne crede privo o indegno, la gentilezza esercitata con supponenza è umiliante per chi la riceve, la felicità può sembrare un velenoso inganno a chi la guardi, lontana, attraverso un tiepido velo di lacrime. No, non così si arriva a ciò che il silenzio nasconde. Né, talvolta, basta capire il male per guarirlo, perché questo può essersi trasfuso in modo inestirpabile nel midollo di un’esistenza, divenendo il dolore fondante, il dolore d’angolo, dell’identità di un uomo.
Ma, pur non capendo, o pur capendo e non potendo altro, si può sempre provare ad accogliere lo scontento del prossimo. O, perlomeno, ad avvicinarne il malessere, come si avvicinano quelle cose selvatiche che si vogliono addomesticare, cioè abituare alla casa e a quell’universo relazionale basato sull’affetto sotteso a questo luogo insieme fisico e ideale, le quali non perdono la propria fierezza ma imparano a temperarla con l’amore che le circonda e, infine, pervade.
Dialogo di un seme e un sasso
«Uh? Chi mi ha urtato?»
«Perdona la foga di un seme che ha fretta di crescere, amico sasso. Sono stato io.»
«Dovresti badare a dove metti le radici! E poi perché questa urgenza di vedere il cielo? Ti garbano così tanto i nubifragi e il sole afoso? E gli insetti che ti divorano? Almeno qui non si è calpestati nell’indifferenza, come lassù.»
«È un posto così terribile? Sopra, intendo.»
«Un po’ di poesia ce l’ha, non lo nego. Ma non ne vale la pena, per quel mondo.»
«Capisco, ma credo continuerò comunque.»
«Pazzo! L’aratro ha spezzato me, che sono di pietra! Figuriamoci uno stelo come te! Vedessi com’ero immenso, quand’ero integro: una piccola montagna in questa pianura di altezze mediocri. E ora sono solo un frammento di me stesso. Prima di te i venti hanno sradicato interi boschi, i fulmini hanno incendiato i campi sino all’orizzonte… Per cosa, poi, andarsene a soffrire? Non possiedi l’ombrosa frescura delle querce, né l’esotico ornamento delle piante esotiche; insomma, sei un comune fiore di campo, che al mondo non arreca nulla di utile, né di unico: fai un favore a te stesso, e rimani qui, sotto un caldo abbraccio di terra. Non nascere.»
«Mi spiace, ma non è questa la mia felicità. Anche avessi per qualità soltanto l’umiltà e la gentilezza, io comunque me le lascerei fiorire indosso, perché nulla vada perso dei miei talenti, e non ci sia margine per il rimpianto. E se davvero questo mondo è così terribile, a maggior ragione ha bisogno di piccole gentilezze, no?»
«Ma qui non si rabbrividisce per il gelo del vento, o per l’inclemenza delle stagioni… Si è soli, ma senza l’ingannevole speranza che qualcuno possa capirci davvero.»
«Ma qui nemmeno si trema per gli spettacoli celesti della sera, per un brivido di brezza, per l’assolata meraviglia di un campo di consimili a me. O vita!»
«E tu come fai a sapere queste cose?»
«E come fai tu ad averle dimenticate? Me le raccontano i bisbigli di qualche foglia caduta che a fatica s’intendono, e tutto il resto lo so perché è dentro di me. È una promessa che ho nell’anima, e io non posso che crescere e sfociare verso questa vita. Il cielo che ho dentro chiama quello fuori di me, capisci?»
«Ne riparleremo quando queste parole, al pari delle tue sembianze, appassiranno. Anche la speranza ingobbisce, sai?»
«I fiori più belli non appassiscono, diventano arte. Me l’ha spiegato un pittore che veniva spesso qui a dipingere. Magari è stato lui a gettarmi, non ricordo; ma che importa se una mano vera mi ha posto in questa oscura culla, insieme alle sue speranze, o se è il caso che mi ha strappato e condotto qui? È comunque vita, e se manca la speranza degli altri ho comunque la mia.»
Dialogo di un cuscino e una testa
– Ehi? Ehi! Sveglia signorino!
– Uh? Che c’è?
– Alla buonora! E dire che ti gridavo nelle orecchie. Mi spieghi che ti mette in capo la vita? Hai la testa che pesa come piombo.
– Non tutto il peso viene per nuocere. Serve a volte essere il sasso che non si lascia spostare neanche dalle tempeste, avere la confortante pesantezza di questi sentimenti ben ferma sul cuore, perché l’anima non si perda come fogli che si sparpagliano alla prima brezza. Questo peso ci tiene insieme. Le intemperie del vivere ci erodono, ci disgregano, consumandoci per i secoli dei nostri amori o delle nostre disperazioni fino al nulla. Ma nei naufragi esistenziali, nelle apocalissi della coscienza, non ci aggrappiamo alle fatuità: ci aggrappiamo a cose di peso, che ci ricordino che la vita non è un semplice trascorrere.
– Dormi su pensieri assai scomodi, e soprattutto dormi su un’amicizia scomoda come la mia: anche se sono le due di notte, non ti lascio chiudere occhio finché almeno non mi dici ciò che ti angustia.
– E se non volessi?
– Rispetterei il tuo silenzio, ma non mi rassegnerei.
– Allora così sia. Vedi, la mia inquietudine si nutre di cose comuni: gli amori, gli amici, l’insicurezza di essere abbastanza, il non sapere che volere. Sono dilemmi ideali che vestono la mia piccola commedia quotidiana, così che ogni cosa e persona prende a volte una parte più grande di quella che gli è propria: e io non sono io, ma peggio che Amleto. Poco sereno sono anche per cose che non so bene formulare, che sono come effuse, come una stagione d’animo o una legge di natura, o altre parole che non so meglio dire per ben assomigliare il concetto…
– Non serve che le trovi proprio ora. Però sappi che sono qui, che mi interessa di te, che ti ho a cura.
– Pensi bastino queste parole?
– Certamente no. Ma io sono solo un “cuscino”, non contemplo l’alta filosofia né parlo con cognizione di retorica: non ho da offrirti che il mio affetto ingenuo e sincero, il mio esserci e qualche parola. Non sono bravo a spiegare, lo sono a dimostrare.
Spiffero
E se fossimo ricordi che si spengono
negli occhi di un uomo che muore,
cosa vorresti fare?
cosa vorresti essere?
Quando questo tempo si sgretolerà in rimorsi,
nell’amara solitudine della memoria –
Quali destini impossibili bestemmierai?
E se… e se… se solo…
Dacché viviamo in un continuo ricordo
che giorno su giorno stiamo costruendo
Scrivi in ogni stralcio d’istante
la vita che non vorrai rimpiangere.
Polifemo
A che serve turarsi le orecchie,
quando ciò che grida è dentro,
profondo sino all’anima?
Mormora, nei recessi della consapevolezza,
un brusio che sa di non so che sentimento;
e l’oggettività è così una vista lontana –
Ogni verità sfuma in poesia, in un cielo di pensieri
dove anziché volare si annega – e queste sensazioni sono spettri
senza il lenzuolo delle parole;
Stanco di rincorrere l’inesprimibile, a un certo punto sbotti
a chi ti chiede “Cos’hai, chi t’ha fatto questo?”:
“Niente, Nessuno”.