PRIMO PIANO
Per una sana comunicazione di coppia
FUTURI SPOSI: SETTE TRAPPOLE DA EVITARE
I fidanzati devono affrontare numerose sfide se non vogliono finire prigionieri di
situazioni capaci di sabotare il loro bagaglio di belle speranze. Per il benessere
affettivo e relazionale delle future famiglie si dovrebbe pensare a una sorta di
“contratto” comunicativo. Ce ne parla Vittoria Cesari Lusso, docente universitaria
presso le Università di Ginevra, Lugano e Neuchâtel, ricercatrice e terapeuta della
comunicazione, in un articolo pubblicato dal mensile “Famiglia oggi”.
di Vittoria Cesari Lusso
Cambia la comunicazione quando si diventa marito e moglie, rispetto al
tempo del fidanzamento? La risposta può variare dal “sì molto” al “quasi niente”,
a seconda del modello di vita a due che si pratica. Il polo “sì molto” corrisponde
alla situazione, definiamola “tradizionale”, nella quale il matrimonio coincide
con il passaggio dalla casa dei genitori a un proprio nido, segnando l’inizio
della convivenza tra i due sposi. Soltanto dopo il “fatidico sì” la nuova coppia inizia
dunque a condividere un tetto, spazi e incombenze quotidiane. Il polo “quasi
niente” invece si riscontra quando lui e lei già convivevano da tempo e
magari avevano già messo al mondo uno o più figli. Situazione ormai tutt’altro che
rara ai nostri tempi.
Tra queste due polarità troviamo tutta una casistica di situazioni
intermedie: si stava già assieme durante le vacanze; ciascuno aveva già un proprio
appartamento indipendente, ciò che consentiva incontri più o meno fugaci e furtivi;
anche dopo il matrimonio, si vive e si lavora in città diverse per cui ci si ritrova solo
per il fine settimana.
La situazione che comporta i più radicali cambiamenti sul piano
comunicativo è senza dubbio quella più tradizionale. La prenderò quindi come
situazione di riferimento per evidenziare una serie di sfide che i due protagonisti
devono affrontare se non vogliono finire prigionieri di trappole comunicative capaci
di sabotare il loro bagaglio di belle speranze. Ma la riflessione si potrebbe
rivelare utile anche per coloro che rientrano negli altri modelli.
I GESTI, LE QUESTIONI E I TEMPI DELL’AMORE
Cos’è che genera cambiamenti nella comunicazione durante il passaggio dal
fidanzamento al matrimonio? Ci sono almeno tre fattori che meritano di essere
evidenziati: il tipo di relazione; le questioni di cui si parla; il tempo. Vediamoli
con ordine.
IL TIPO DI RELAZIONE
Dopo l’infanzia, le fasi dell’innamoramento e del fidanzamento con i loro rituali
comunicativi costituiscono una delle esperienze di vita maggiormente capaci di
nutrire l’identità positiva del soggetto. Cosa succede infatti di solito in questi
momenti? Succede che gli innamorati non cessano di proferire parole e
promesse che fanno sentire l’altro unico, straordinario, meraviglioso, degno di
ammirazione e capace di stupire. E oltre alle parole, ci sono gli sguardi, i gesti
affettuosi, le attenzioni. Linguaggi spesso ancora più potenti delle parole stesse.
Tutto questo avviene anche perché la relazione con l’altro non viene data
per scontata e la persona amata è vista come un terreno tutto o in parte
ancora da conquistare. Il desiderio dell’altro, che conosce sfumature appassionate
in questa fase, funziona insomma come una potente lente che esalta le qualità della
persona amata, celandone nel contempo i limiti.
Il matrimonio e l’inizio della convivenza segnano quindi un importante
cambiamento psicologico su questo piano: il desiderio si è realizzato e la
relazione con l’altro assume ormai i caratteri del bene acquisito su cui si può
contare. Certo, oggi, con il divorzio largamente praticato e con l’allentamento delle
norme morali riguardanti la fedeltà, un certo grado di incertezza rimane. Tuttavia,
dopo il fatidico “sì” in chiesa o in municipio qualcosa cambia sul piano della
percezione: il partner si trasforma da soggetto ideale non ancora definitivamente
espugnato in persona reale, presente nel quotidiano.
LE QUESTIONI DI CUI SI PARLA
Prima del matrimonio, gli argomenti di cui i due promessi sogliono parlare
contribuiscono quasi sempre a rafforzare l’immagine dell’altro come
dispensatore di gratificazioni. Si parla di ciò che amiamo nell’altro, di gusti, idee
e valori che si condividono; di amici e nemici comuni; di progetti vicini e lontani da
realizzare insieme. Dopo il matrimonio gli scambi dovranno allargarsi a tutta
una serie di compiti quotidiani (a volte anche alquanto gravosi e fastidiosi) che
implicano un’infinità di decisioni da negoziare e continui scambi per
stabilire chi fa che cosa. Tale allargamento prenderà a volte la forma di
“alluvione”, nel senso che non ci sarà quasi più spazio o energie per alimentare il
dialogo con scambi stile fidanzamento.
In un mio recente libro sulla comunicazione interpersonale ricordo a questo
proposito che viviamo nell’epoca e nelle società della negoziazione perenne dei
rapporti interpersonali. Diversamente accadeva in passato o accade tuttora in
altre culture. In altre parti del mondo i diversi ruoli (ad esempio, ciò che deve fare
un marito, oppure una moglie) sono rigorosamente codificati e predeterminati. Ciò
che invece spesso non è ben determinato a priori è il prezzo delle varie merci:
quando viaggiamo in quei Paesi ci stupiamo – a volte ci scandalizziamo – degli
infiniti (estenuanti, per alcuni di noi) mercanteggiamenti che si fanno nei souk.
Ebbene, da noi, se è vero che non si contratta quando si va al supermercato,
quante e quante negoziazioni interpersonali si svolgono in famiglia! Si
negozia: a chi tocca fare la spesa, pagare le fatture, portare i figli dal pediatra,
prendere questa o quella decisione quotidiana, come stabilire chi invitare, se andare
o no a pranzo dai suoceri, dove passare le vacanze, ecc… Non a caso, quando
arriva il momento delle decisioni concernenti i preparativi per il
matrimonio, iniziano in certi casi a manifestarsi i primi “temporali
comunicativi”.
IL FATTORE TEMPO
Con il matrimonio aumenta solitamente il tempo che si trascorre assieme.
Se due persone decidono di sposarsi è anche perché ciascuna rappresenta agli occhi
dell’altro la compagnia più gradevole che si possa immaginare. Quando si è
fidanzati, l’idea di stare sempre assieme e di fare tutto assieme appare
come una prospettiva ricca di infinite piacevoli e dolci promesse. Il
ragionamento è in fondo il seguente: se adesso che siamo fidanzati è bellissimo
ritrovarci qualche mezza giornata alla settimana, quando potremo trascorrere
assieme sette giorni su sette la dose di piacere non potrà che aumentare
proporzionalmente. Il ragionamento spesso mostra dopo il matrimonio qualche
pecca: in effetti, anche le cose più buone al mondo stancano un po’ se sono
assunte in overdose.
LE SETTE TRAPPOLE DA EVITARE
Quanto detto non vuole scoraggiare il matrimonio, anzi! Quando funziona, la
vita a due rappresenta uno dei fulcri della terrena felicità. Ma per costruire una
relazione che duri negli anni, con reciproca soddisfazione, occorre investire
molte energie e prendere una serie di precauzioni, che concernono anche la
comunicazione. Su questo piano, se si vuole avere il massimo di probabilità di far
parte tra venti, trenta, quarant’anni delle coppie che hanno saputo costruire una
gratificante e stabile relazione, è importante superare alcune convinzionitrappola
che elenco qui di seguito. Un modo per essere più sicuri di superarle,
è quello di stipulare prima del matrimonio una sorta di contratto
comunicativo, contenente alcune clausole che mi sembrano essenziali per una sana
comunicazione di coppia.
PRIMA TRAPPOLA
Pensare che sul piano della comunicazione
tutto sarà come prima automaticamente.
È la questione di cui ho parlato nelle righe precedenti, quindi mi limito qui a citare
le clausole da inserire nel contratto. Gli sposi si impegnano a:
– praticare almeno tre volte a settimana aspetti della comunicazione
correntemente utilizzati nel fidanzamento, quali complimenti reciproci, sguardi
positivi di ammirazione, piccole sorprese;
– stabilire regole chiare su chi fa che cosa e esplicitare con serena chiarezza le
reciproche esigenze e aspettative;
– concedersi rispettivamente, se auspicato, spazi di autonomia per praticare
attività o frequentare amici in modo indipendente.
SECONDA TRAPPOLA
Pensare che non si abbia bisogno
di imparare ad ascoltare il proprio partner.
Più approfondisco le mie ricerche e i miei studi in materia di comunicazione e più mi
convinco che saper ascoltare non è una manna che viene dal cielo, ma una
pianticella che va coltivata e accuratamente accudita. Essa sembra proprio
non crescere spontanea in natura. Forse, durante il fidanzamento ci si ascolta
di più, ma in generale in molte coppie la comunicazione avviene secondo questo
schema: «Sai, caro, oggi è stata una giornataccia in ufficio »; «Non parlarmene, a
me è andato tutto storto»! Oppure: «Da un paio di giorni ho un po’ di mal di testa »;
«Adesso che lo dici, mi fai venire in mente che c’è stato un periodo in cui avevo
paura che la testa mi scoppiasse».
Cosa voglio dire con questi esempi? È che anche in età adulta si conserva una
certa dose di egocentrismo infantile, e in genere si tende a parlare più volentieri
di ciò che ci concerne in prima persona che ad ascoltare in modo interessato ciò che
l’altro vorrebbe comunicarmi.
Clausola da inserire nel contratto:
quando il mio coniuge desidera parlarmi delle sue gioie o dei suoi dolori, mi
impegno a non mettere in avanti subito le mie proprie gioie e i miei propri
dolori, bensì gli dedico tutta la mia attenzione affinché possa esprimere quello che
sente, magari cercando anche di fare domande pertinenti per aiutarlo a sviluppare
ciò che desidera dirmi.
TERZA TRAPPOLA
Pensare che quando si vuol comunicare
tutti i luoghi vanno bene.
Non è vero: un contesto adatto non solo è opportuno, è indispensabile.
Clausola da inserire nel contratto:
quando abbiamo qualcosa di importante da dirci, evitiamo di farlo in condizioni
di fretta, di nervosismo o in presenza di altre persone, ma cerchiamo di scegliere
un luogo e un momento adatto.
QUARTA TRAPPOLA
Credere che chi mi ama possa facilmente indovinare
cosa desidero e sento senza che io lo dica.
È vero che la persona di cui mi sono innamorato mi ha spesso mostrato che
riesce a intuire meglio di chiunque altro cosa succede dentro di me. Si tratta
di una sensazione meravigliosa. Come era meraviglioso da piccoli accorgersi
che gli adulti erano capaci di mettere delle parole sui nostri sentimenti,
sensazioni e bisogni inespressi. Cosa succede infatti nel primo periodo della vita,
quando il cucciolo umano non sa ancora parlare? Succede che gli altri parlano per
lui, interpretando i suoi gorgheggi e i suoi pianti: «Ah… hai fame! Hai caldo! Vuoi
dire che ti piace! Reclami delle coccole! Ti fa male il pancino!».
Poi il piccolo comincia a parlare. Grande conquista, ma come ben mostrano tutti
gli studi sulla psicologia dello sviluppo, tutte le conquiste evolutive hanno un
prezzo da pagare: così come quando si impara a camminare si deve abbandonare
il piacere di essere sempre portati in braccio, quando si impara a parlare si deve
rinunciare al comfort di “essere indovinati”. Anche in età avanzata conserviamo
poco o tanto la beata speranza che chi ci sta vicino indovini cosa vogliamo senza
bisogno di dirlo.
Vorremmo insomma che chi ci sta accanto fosse una sorta di veggente. Diventare
adulti vuol anche dire abbandonare tale sogno e imparare a esprimere in
prima persona, con parole adeguate, tutta una serie di desideri, bisogni,
percezioni, aspettative che il nostro prossimo non può indovinare.
Clausola da inserire nel contratto:
ti sarò grato(a) quando indovini quello che c’è nella mia mente e nel mio
cuore, ma se ciò non accade mi impegno a esplicitarlo con parole adeguate.
QUINTA TRAPPOLA
Essere costantemente convinti che se la comunicazione
non funziona la colpa è sempre degli altri!
Nei suoi celebri lavori sulla comunicazione Jacques Salomé afferma che il problema
centrale nelle relazioni interpersonali è passare “dal reazionale al relazionale”.
Reazionale è la comunicazione che soggiace a quella che potrebbe essere
chiamata la dittatura delle emozioni negative. Parlo per sfogare le mie paure,
la mia rabbia, il mio nervosismo, le mie frustrazioni, le mie antiche nevrosi, senza
tenere in considerazione l’effetto che le mie parole avranno su di te. Senza
preoccuparmi insomma della nostra relazione. È un modo questo di parlare che fa un
uso smisurato di frasi del genere «Tu non capisci niente», «Sei tu che…», «Non si
può discutere con te», «Tu mi fai arrabbiare», «È tutta colpa tua». Un’infinità di
Tu…Tu… Tu…, che ricordano l’esasperante suono di un telefono occupato! È
un modo di esprimersi che costituisce un vero e proprio virus nefasto per la
salute della relazione. A questo proposito direi che le relazioni si “ammalano” più
frequentemente delle persone! Esistono vaccini contro tale virus?
La clausola da inserire nel contratto:
se ci accorgiamo che dopo sposati il nostro modo di comunicare somiglia
troppo spesso a un telefono occupato «Tu… Tu… Tu…», ci impegniamo a
riflettere sulle modalità di comunicazione, leggendo magari un paio di buoni
testi in materia e/o a seguire qualche corso sulla comunicazione interpersonale.
SESTA TRAPPOLA
Sottovalutare le contraddizioni tra il verbale e il non verbale.
È noto che nella comunicazione ci serviamo di una molteplicità di canali,
verbali e non verbali. Ciò arricchisce l’interazione, ma può anche generare
FATTORI PROTETTIVI
CONTRO LA QUINTA TRAPPOLA
Molti studiosi hanno isolato alcuni fattori
protettivi, tra i quali figura al primo posto lo
sviluppo di tre capacità fondamentali:
– avere consapevolezza delle proprie
emozioni, ossia riconoscere i propri talloni di
Achille emotivi che ci fanno iper-reagire;
– utilizzare un linguaggio “Io”: «Io mi
innervosisco… Io mi sento frustrato quando vivo
questa o quella situazione». In tal modo si assume
la responsabilità dei propri sentimenti senza
accusare subito l’altro;
– capire che non posso cambiare l’altro, ma
possono cambiare l’effetto che l’altro ha su di me
e il tipo di relazione che io ho con lui.
problemi, in particolare quando c’è incongruenza tra i due canali, ad
esempio: lei fa il muso, ma dice che va tutto bene. Lui le dice che è d’accordo di
fare una certa spesa, ma la guarda di traverso. Se tale tipo di comunicazione
diventa usuale nella coppia la relazione finirà prima o poi con l’ammalarsi.
Clausola da inserire nel contratto:
ci impegniamo a evitare il ricorso a messaggi contraddittori.
SETTIMA TRAPPOLA
Sottovalutare la complessità del rapporto con i suoceri.
Non posso dilungarmi nello spazio di questo articolo su tale tema, che merita
sicuramente un serio approfondimento al di là dei soliti stereotipi. Voglio solo
ricordare un aspetto che ho sviluppato in un mio libro dedicato al rapporto tra le
generazioni. Oggi si parla molto di relazioni interculturali a proposito di
contatti tra culture diverse, ma va considerato che ogni famiglia – anche
quelle che vivono da sempre sullo stesso territorio – costituisce un
microcosmo culturale in sé. Da questo punto di vista, ogni persona
proveniente dall’esterno costituisce una sorta di “straniero” e gli shock
culturali con la famiglia del coniuge sono sempre in agguato, come ci
ricordano due testimonianze. «A casa mia era normale invitare amici a cena
anche all’ultimo momento, invece dai miei suoceri ciò non si fa assolutamente.
Già invitano poco, ma quei pochi inviti devono esse annunciati molto prima.
Inoltre, a casa mia si ride e si scherza, dai miei suoceri sembra di essere in
chiesa». Oppure: «Ci sono delle differenze che mi hanno molto sbalordito tra
casa mia e quella dei genitori di mia moglie: il fatto che da loro tutti conoscono
più o meno la situazione finanziaria degli altri. Da noi era un tabù».
Clausola da inserire nel contratto:
ci impegniamo certo a rispettare i nostri rispettivi genitori ma anche a
evitare, da un lato, le idealizzazioni troppo frettolose, dall’altro i giudizi
spietatamente critici. Personalmente mi pare giovi mantenere una chiara
distinzione anche in termini di appellativi tra i ruoli di madre e suocera,
di padre e suocero. Chiamare la propria suocera “mamma” e il proprio suocero
“papà” è per certi aspetti un simpatico gesto che mostra la volontà di costruire
positive relazioni, ma rischia di confondere a livello inconscio figure, ruoli e
persone fra loro molto diverse. Confusione che può bloccare il cammino, che
occorre sempre compiere per conoscere l’altro così com’è e non come lo si
immagina, e creare rischiosi transfert emotivi inconsci.
BASTA UN “CONTRATTO” PER VIVERE FELICI?
Basta sottoscrivere un contratto contenente le suddette clausole per garantire una
buona qualità della comunicazione dopo il matrimonio? Diciamo che è già un buon
aiuto per lanciarsi in tale impegnativa e affascinante comune avventura.
Tuttavia, è mia convinzione che se le attività di preparazione al matrimonio
sono importanti, altrettanto importante sarebbe offrire corsi dopo un anno,
due anni di esperienza, e nei grandi momenti di svolta, come la nascita dei
figli, le crisi, le migrazioni… La comunicazione è una pianta che si coltiva tutta la
vita.
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